Sulle tracce di Orwell
In pratica, per riprendere una suggestione letteraria spesso citata, se ci siamo ormai abituati (o rassegnati) a considerare gli smartphone – con il corredo di app, cookies e profilazioni varie -una sorta di grande fratello del ventunesimo secolo, si farebbe qui un altro passo verso l’immaginaria società tratteggiata da George Orwell in “1984”, dove anche il linguaggio si trasformava progressivamente in “neolingua”, una forma di comunicazione depotenziata o comunque privata della possibilità di esprimere un pensiero critico.
La risposta delle aziende
Un portavoce di Huawei ha dichiarato alla Bbc che la priorità dell’azienda è il rispetto delle leggi e dei regolamenti dei paesi in cui opera. «I dati non vengono mai elaborati al di fuori del dispositivo Huawei», ha sottolineato. Quanto a Xiaomi, ormai produttore leader mondiale insieme a Samsung, ha negato che i suoi telefoni possano essere censurati o che mettano a rischio la privacy, sottolineando che si conformano alle stringenti normative Ue in materia. «I dispositivi Xiaomi – ha dichiarato l’azienda in un comunicato – non censurano le comunicazioni tra i suoi clienti. Non abbiamo mai limitato o bloccato e mai limiteremo o bloccheremo azioni degli utilizzatori dei nostri smartphone, come ricerca, chiamate, navigazione o uso di software di terze parti. Rispettiamo completamente e proteggiamo i diritti legali di tutti gli utenti».
Vilnius però corre ai ripari. Margiris Abukevicius, viceministro della Difesa, ha «caldamente raccomandato che le istituzioni statali e pubbliche non utilizzino quei dispositivi», aggiungendo che sarà avviato un percorso legislativo per regolamentarne l’acquisto da parte di ministeri e agenzie governative.
Più di 200 autorità pubbliche hanno acquistato smartphone di questo tipo – ha aggiunto Abukevicius – e oltre 4500 telefoni sono attualmente in uso «il che, a nostro parere, aumenta i rischi». Per il viceministro anche la gente comune «dovrebbe sapere cosa c’è in questi telefoni» e «considerare la sicurezza prima di prendere una decisione».
Tensione Vilnius-Pechino
La vicenda appare destinata ad accentuare la tensione tra Vilnius e Pechino. Ad agosto, dopo che la Lituania aveva annunciato l’apertura di un ufficio di rappresentanza di Taiwan nel Paese, la Cina ha richiamato l’ambasciatore, nonostante il Paese baltico sottolineasse che la decisione non intendeva mettere in discussione il principio di una sola Cina. All’inizio del mese, anche l’ambasciatrice lituana a Pechino è stata richiamata in patria per consultazioni.