Si è (o delle Benedizioni) nella Basilica di Sant’Antonio, a Padova. L’intervento, durato nove mesi, ha permesso la salvaguardia e lo studio di un’opera fondamentale per comprendere il percorso di, una sorta di «prova generale» della Cappella degli Scrovegni. La scorsa estate, l’Unesco ha inserito i cicli degli affreschi trecenteschi di Padova nella prestigiosa Word Heritage List e ora, anche grazie all’importante restauro promosso dalla Delegazione Pontificia per la Basilica di Sant’Antonio in Padova, gli studiosi di tutto il mondo guardano oggi a Padova come la capitale mondiale dell’affresco.
La straordinarietà del restauro
La straordinarietà del restauro sta nell’acquisizione di molti particolari usciti dalla mano di Giotto, che non erano più leggibili, sia per i danni del tempo, il denso strato di sporco, le efflorescenze dei sali a causa delle passate infiltrazioni di acqua e umidità, ma anche di svariate ridipinture che avevano ricoperto molte parti degli eleganti racemi stesi a mano libera su fondo rosso pompeiano direttamente confrontabile con quello dipinto dal Giovane Giotto ad Assisi e delle cornici prospettiche con motivi cosmateschi. Anche molti particolari dei volti delle sante dipinte entro quadrilobi oggi tornano a spiccare. Il restauro è stato promosso dalla Delegazione Pontificia per la Basilica di Sant’Antonio in Padova, nella persona dell’Arcivescovo Fabio Dal Cin, sotto il diretto controllo della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso, diretta dal Soprintendente Fabrizio Magani, con Monica Pregnolato come storica dell’arte. La direzione scientifica è stata affidata a Giovanna Valenzano con la direzione tecnica di Cristina Sangati di AR Arte e Restauro. Il lavoro sugli affreschi giotteschi è stato il frutto di una sinergia tra la Delegazione Pontificia della Basilica, il Comune di Padova con l’Assessorato alla Cultura, l’Università di Padova e la Fondazione Cariparo.
Le donne dipinte da Giotto
«Un restauro che si attendeva da molti anni, di cui era già stata indicata la necessità nel 1968, quando le pitture dell’arco sono state stato ricondotte per la prima volta a Giotto — sottolinea il Delegato Pontificio per la Basilica del Santo, l’Arcivescovo Fabio dal Cin —. L’intervento negli ultimi anni era divenuto veramente inderogabile. Il restauro è testimonianza concreta di come la Delegazione Pontificia ha a cuore i destini della basilica del Santo. Ne è valsa la pena: salendo sui ponteggi non ho potuto non rendermi conto di come Giotto avesse dipinto i volti delle sante martiri come veri e propri ritratti di donne, una diversa dall’altra, pur nell’unità. Donne accomunate dalla scelta del martirio, che recano alternativamente nella mano destra, la palma e la croce. Un’emozione che andava restituita ai fedeli, alla comunità francescana, alla città, al mondo intero».
La decorazione vegetale originaria
«Si sono recuperate intere porzioni della decorazione vegetale originaria, di cui rimangono molti tratti della pellicola pittorica originale. Una ulteriore scoperta, solo apparentemente meno eclatante, ma che in realtà farà discutere gli storici dell’arte, è la messa in luce della decorazione a finto marmo del semipilastro di destra — dichiara la professoressa Giovanna Valenzano, direttrice scientifica del restauro —. La pulitura della parte superiore ha riportato in piena evidenza la carnosità delle foglie del racemo su fondo verde che precede il tipo di decorazione direttamente confrontabile con quella degli Scrovegni. Un’altra importante novità, è il recupero di gran parte della partitura dei finti marmi originale, completamente diversa dalla ridipintura novecentesca del Cherubini, sia nel colore bianco/grigio chiaro, che sembra voler alludere al marmo pario, sia nel taglio delle finte lastre; infatti la cornice che circonda la prima lastra di finto marmo non cade al centro della semicolonna, ma a due terzi, un dato che mostra ancora una volta l’attenzione di Giotto allo studio dei punti di visione, la scienza del vedere, la perspectiva, come era indicata nel medioevo con il termine latino».