Dopo tre anni di indagini su reati fiscali, a New York sono state per la prima volta formalizzate delle accuse contro l’organizzazione di Donald Trump. Un grand jury di Manhattan ha deciso di incriminare la Trump Organization e il suo direttore finanziario, Allen Weisselberg, per reati fiscali. A Weisselberg, responsabile della organizzazione che porta il cognome dell’ex presidente degli Stati Uniti, viene contestato il mancato pagamento delle tasse per i benefit concessi ai manager della società. Lo rivela il Washington Post, citando due fonti informate secondo le quali le incriminazioni, decise già ieri 30 giugno, verranno formalizzate oggi pomeriggio. Donald Trump in persona però non verrà incriminato subito, non questa settimana, precisa la Reuters. Le accuse quindi sono per ora limitate al manager della sua organizzazione.
Secondo le fonti del Post, Weisselberg e gli avvocati della Trump Organization compariranno davanti al giudice che renderà loro noti i capi di imputazione, il primo risultato tangibile dell’inchiesta lunga tre anni dei procuratori newyorkesi e che riguardano gli affari dell’ex presidente. Il giudice è il procuratore distrettuale Cyrus R. Vance, Jr che ha condotto l’inchiesta assieme al procuratore generale dello Stato di New York, Letitia James
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La difesa
In un’intervista a Fox News, Trump ha rigettato l’intera inchiesta, come già quella di impeachment, definendole «tutte una cosa senza senso», e ripete ai suoi sostenitori che è vittima di una «caccia alle streghe». «I procuratori estremisti di New York sono contro di me, dobbiamo combattere», ha aggiunto l’ex presidente.
La procura distrettuale di Manhattan indaga in particolare su bonus e fringe benefit di cui ha goduto Weisselberg tra cui un appartamento a Manhattan – scrive il New York Times – l’affitto di alcune Mercedes e la retta per la scuola di almeno uno dei suoi nipoti – quello che interessa accertare di questi benefici è se la Trump Organization ha versato le relative tasse.
Il collaboratore fedele
Il 73enne Weisselberg è un fedelissimo di Trump e della sua famiglia, lavora per lui da quasi cinquant’anni e con un eccesso di zelo senza cedimenti ha sempre protetto l’organizzazione e i sui conti. Tanto da essere definito anche “un soldato”, da un altro ex manager di Trump, John Burke: «Fa tutto quello che Donad Trump gli dice di fare». Incriminare lui, insomma, vuol dire colpire una pedina ben precisa nell’organigramma di Trump. Si può supporre che i giudici di Manhattan non si sarebbero mossi senza avere in mano carte bene precise, vista la fedeltà al capo del manager incriminato e soprattutto l’attitudine quasi unica nella galassia Trump di sopravvivere per decenni al servizio di un imprenditore e e poi politico sempre discusso e con diversi collaboratori e avvocati che vanno e vengono in un frenetico viavai senza fine.