Fondo sovrano a parte poi, gas e petrolio rappresentano il 42% delle esportazioni norvegesi e danno lavoro a 160mila persone, il 6% degli occupati.
Lo sanno bene i partiti maggiori, nessuno dei quali appare intenzionato a sbattere la porta in faccia all’industria che ha rappresentato e ancora rappresenta l’Eldorado nazionale, bandendo per esempio le perforazioni nell’Artico alla ricerca di nuovi giacimenti o fissando un termine alla produzione di petrolio. Come ha già fatto la vicina Danimarca (2050) o come Oslo era stata invitata a fare, già nella primavera dell’anno scorso, dal relatore speciale sui diritti umani e l’ambiente dell’Onu, David Boyd: «La Norvegia – questa l’esortazione – dovrebbe vietare ulteriori esplorazioni per la produzione di combustibili fossili, rifiutare un’ulteriore espansione delle infrastrutture collegate, predisporre una transizione equa per lavoratori e comunità dipendenti dall’industria dei combustibili fossili».
La posizione dei partiti e l’allarme dell’Onu
Non ne ha però intenzione il Partito conservatore della premier Erna Solberg, che oggi insegue nei sondaggi (attorno al 20-21%), disponibile solo a una transizione «graduale» verso l’industria green; e non è pronto a farlo neppure il Partito laburista di Jonas Gahr Støre, in vantaggio nelle intenzioni di voto (23-24%). La transizione verde – ha dichiarato in un recente dibattito televisivo il probabile prossimo premier – richiederà tempo e proprio i proventi del petrolio potranno finanziare l’industria delle rinnovabili. Un cambio di rotta troppo repentino, questa la conclusione, rischierebbe invece di compromettere quegli investimenti.
A rendere più acceso quello che era già il tema centrale della campagna elettorale norvegese è arrivato, il mese scorso, il sesto rapporto dell’Ipcc, il panel intergovernativo Onu sul cambiamento climatico: riscaldamento globale fuori controllo, fenomeni sempre più estremi, un vero e proprio «codice rosso» per l’umanità, come l’ha definito il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres.
Il nuovo allarme ha dato una spinta nei sondaggi ai partiti più decisi a chiedere una svolta sui combustibili fossili: i Verdi, che chiedono uno stop immediato alle esplorazioni petrolifere e alla produzione entro il 2035 e sperano di raggiungere il miglior risultato di sempre, grazie ai giovani e al voto delle città (sono attestati attorno al 5% negli ultimi sondaggi, dunque oltre la soglia di sbarramento del 4%), ma anche i Liberali e, soprattutto, la Sinistra socialista (9-10%), possibile partner di governo dei Laburisti.